Sul finire degli anni Ottanta, al 924 di Gilman Street, Berkeley, California, un collettivo di ragazzi si conquistò uno spazio dove organizzare incontri ed eventi musicali. Nel giro di qualche anno dal Gilman si levò una voce: il punk è risorto, e ha scelto l’America per manifestarsi. Tra i tanti gruppi che si formarono in quell’ambiente uno su tutti avrebbe avuto l’onere di portare il messaggio all’attenzione del mondo: i Green Day. La loro miscela di punk e pop esprimeva la voce di una generazione di adolescenti nutrita con i film e la televisione dell’era reaganiana, e che non aveva più alcuna fiducia in quel sistema basato sull’ottimismo incondizionato del sogno americano. Antieroi, persone ai margini, scoppiati, sono questi i personaggi di cui Billie Joe Armstrong canta l’epica, e che si condensano nel Jesus Of Suburbia dell’opera rock che nel 2004 i Green Day scagliano contro l’amministrazione Bush come una risata a denti stretti con le lacrime agli occhi: American Idiot. Da qui i Green Day si affermano come una delle poche realtà dello scorso decennio ad aver conquistato un successo planetario. E ora sono pronti a ricominciare la storia dalla pagina uno, anzi Uno!, Dos!, Tre!: “Nel primo disco è come se ti preparassi per andare a una festa, nel secondo sei alla festa, mentre il terzo… è come quando il mattino dopo metti a posto casa”. Adolescenti per professione? Forse. O forse, semplicemente, cantori generazionali loro malgrado, quasi per diritto naturale.
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Emanuele Binelli Mantelli
Green Day. Uno! Dos! Tré!
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Sul finire degli anni Ottanta, al 924 di Gilman Street, Berkeley, California, un collettivo di ragazzi si conquistò uno spazio dove organizzare incontri ed eventi musicali. Nel giro di qualche anno dal Gilman si levò una voce: il punk è risorto, e ha scelto l’America per manifestarsi. Tra i tanti gruppi che si formarono in quell’ambiente uno su tutti avrebbe avuto l’onere di portare il messaggio all’attenzione del mondo: i Green Day. La loro miscela di punk e pop esprimeva la voce di una generazione di adolescenti nutrita con i film e la televisione dell’era reaganiana, e che non aveva più alcuna fiducia in quel sistema basato sull’ottimismo incondizionato del sogno americano. Antieroi, persone ai margini, scoppiati, sono questi i personaggi di cui Billie Joe Armstrong canta l’epica, e che si condensano nel Jesus Of Suburbia dell’opera rock che nel 2004 i Green Day scagliano contro l’amministrazione Bush come una risata a denti stretti con le lacrime agli occhi: American Idiot. Da qui i Green Day si affermano come una delle poche realtà dello scorso decennio ad aver conquistato un successo planetario. E ora sono pronti a ricominciare la storia dalla pagina uno, anzi Uno!, Dos!, Tre!: “Nel primo disco è come se ti preparassi per andare a una festa, nel secondo sei alla festa, mentre il terzo… è come quando il mattino dopo metti a posto casa”. Adolescenti per professione? Forse. O forse, semplicemente, cantori generazionali loro malgrado, quasi per diritto naturale.
Emanuele Binelli Mantelli
17.5
2015
336